Carlo Verdelli

Intervista a cura di Pietro Bonadei, Fernando Forti e Sebastiano Inzaino della classe di Agenzie e Nuovi Media del cdl in Editoria e Scrittura di Lettere dell’Università Sapienza di Roma

Così afferma Carlo Verdelli, direttore di rilievo nel panorama editoriale italiano, avendo diretto testate come Sette, Vanity Fair, La Gazzetta dello Sport, la Repubblica e Oggi. Verdelli è stato anche vicedirettore del Corriere della Sera e primo direttore editoriale per l’offerta informativa della RAI. Abbiamo avuto modo di dialogare sulla questione libertà di espressione e libertà di stampa. Il panorama che riguarda l’informazione appare grigio. Quest’ultima risulta sempre meno libera e democratica, ancor più rispetto al passato. Con l’avvento prima della stampa, poi della televisione e ora dei social media tutto questo si è amplificato. Non solo circolano fake news, ma si sceglie di promuovere e privilegiare alcune news, escludendone altre. Chi detiene il potere decide quali notizie hanno la priorità.

Direttore, vorremmo trattare con lei il tema della libertà d’espressione. A riguardo, lei ritiene che oggi in italia sia un diritto del tutto garantito?

In un’epoca in cui la sovrabbondanza di contenuti rischia di soffocare la verità, la libertà non può esistere senza competenza. Il diritto a essere liberi – nel pensiero, nel giudizio, nella partecipazione democratica – passa inevitabilmente attraverso la conoscenza. E la conoscenza, oggi, richiede fatica, studio, approfondimento e spirito critico. Non basta “informarsi”, occorre saper distinguere l’informazione dalla propaganda.

Vale lo stesso per la libertà di stampa? Ritiene sia cambiato qualcosa rispetto al passato?

Il panorama mediatico italiano ha subito negli ultimi anni una trasformazione che ha minato alla base il pluralismo dell’informazione. Oggi ci sono casi di testate giornalistiche, locali e nazionali, che sono in mano a un imprenditore, come Antonio Angelucci,  considerato organico alla maggioranza di governo. Lo stesso soggetto ha mostrato interesse anche per il controllo di una delle principali agenzie di stampa, L’AGI. Una concentrazione editoriale che solleva interrogativi seri sul ruolo dell’informazione come contro-potere democratico. La situazione è ulteriormente aggravata dal progressivo impoverimento dell’industria editoriale. In questo contesto, anche chi cerca di fare informazione con rigore e indipendenza si trova esposto a pressioni, intimidazioni e alle cosiddette “querele temerarie”, strumenti usati dal potere per scoraggiare l’inchiesta scomoda.

A livello globale?

Il contesto globale mostra una dinamica analoga, ma con implicazioni ancora più profonde. Alla crisi dell’informazione tradizionale si è affiancata l’ascesa di un nuovo potere: quello digitale. I social network e i colossi del web – da Google a Meta, da X ad Amazon – non solo veicolano contenuti, ma li selezionano, li amplificano o li oscurano. In altre parole, costruiscono la percezione della realtà. L’esempio degli Stati Uniti è emblematico: nel secondo mandato di Donald Trump, tutte le big tech erano presenti all’insediamento del presidente, segno di un equilibrio di potere che si è spostato in maniera evidente. Elon Musk, con il controllo non solo di una piattaforma come X, ma anche di settori strategici come lo spazio (SpaceX, Starlink) e l’automotive (Tesla), è oggi uno degli attori più influenti al mondo in termini di potere comunicativo e tecnologico.

Come possono i giornalisti cambiare l’informazione di oggi?

I giovani fanno molta più fatica a portare acqua al mulino della verità in questo mestiere. Ammetto di essere preoccupato, in quanto giornalista, ma soprattutto come cittadino, di questa informazione sempre meno trasparente, meno libera e meno democratica. L’informazione viene piegata agli interessi di chi governa. Notizie rilevanti, come il caso del ministro Lollobrigida, faticano a emergere o vengono minimizzate. Oppure pensiamo alla copertura deficitaria della guerra tra Russia e Ucraina e il conflitto istraelo-palestinese. A Gaza, dove avvengono quotidianamente massacri, sono stati uccisi circa 400 bambini negli ultimi tre giorni, però sui giornali o in televisione questa non emerge. Stessa cosa, riguardo il massacro di Kryvyi dei russi in Ucraina, dove sono morti 85 bambini. A pagarne il prezzo non è solo la verità, ma la qualità dell’informazione stessa. Se le persone prendono decisioni sulla base di informazioni errate o manipolate, la libertà diventa un concetto vuoto. Rimane una cosa che spaventa e preoccupa e io mi auguro che le nuove generazioni e gli editori che verranno, garantiscano almeno il mantenimento della libera informazione. Sia che questa avvenga sui social, sulle radio, in televisione, sui giornali quotidiani o mensili, rimane un elemento fondamentale per il mantenimento di una democrazia.

Per concludere, quale pensa sia il limite tra il diritto di essere informati e il diritto di informare? A proposito viene in mente la controversia di Julian Assange…

Bisogna chiedersi: fino a dove ci si può spingere per informare davvero? È giusto violare sistemi protetti per accedere a dati che rivelano crimini di guerra o abusi di potere? Il caso di Julian Assange e di WikiLeaks ha sollevato questo dilemma etico e giornalistico. Il problema è che l’attenzione si è concentrata più sui metodi con cui le informazioni erano state ottenute piuttosto che sul contenuto delle stesse. Ma questo è il punto: quando l’informazione scomoda viene ignorata, o marginalizzata, l’intero sistema perde credibilità. I cittadini hanno diritto a sapere tutto ciò che può essere lecitamente messo a disposizione. Non si tratta di “educare il popolo”, ma di riconoscere la sua dignità, di trattare le persone come cittadini, non come sudditi. Oggi più che mai, servono giornalisti preparati, liberi, coraggiosi. E servono lettori esigenti, capaci di andare oltre la superficie. Perché un’informazione libera e trasparente è l’unico strumento che abbiamo per restare davvero liberi.

Il direttore Carlo Verdelli denuncia una situazione dell’informazione sempre meno libera, vittima degli interessi del potere politico. La libertà di espressione oggi è minacciata dalla concentrazione editoriale e dal dominio dei colossi digitali. Difendere un’informazione libera e competente è oggi più che mai essenziale per una vera democrazia

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