Abbiamo avviato in Upa a Milano come ogni anno le attività del nostro Osservatorio TuttiMedia ed abbiamo scelto di discutere de “Il Pianeta Latente“, l’ultimo libro di Cosimo Accoto, brillante analista del presente.
Sono stato colpito da tre parole chiave del libro di Cosimo Accoto: il linguaggio, la visione, l’azione. Parole che sono una concentrazione di riflessione sullo stato attuale della cultura, e che sono collegate a quello che definisco la crisi epistemologica attuale. La crisi epistemologica è in corso, si tratta di lotta e collaborazione: la cooperazione e la competizione tra il mondo alfabetico del passato e il mondo digitale in ascesa. Questa è una lotta tra un sistema fatto per creare senso e significato, l’alfabeto e un sistema che è basato sul riconoscimento di modelli, che è l’IA.
La prima parola e l’ultima parola
In una conversazione, normalmente, è l’ultima parola quella vincente. Ma nel contesto proposto da “Il Pianeta Latente”, il libro di Cosimo Accoto, devo dire che è la prima parola che conta di più dell’ultima: è un rovesciamento di potere della parola. Perché? Perché le nostre domande (alla macchina) rappresentano la prima parola che induce la risposta, statisticamente probabile, che viene dal LLM (Large Language Model).
Innovazione culturale
E così la discussione arriva all’innovazione culturale. Dobbiamo riflettere sulla necessità di non più lottare contro il nostro destino e immaginare che succede a partire da queste tre parole. L’occhio assente, titolo del secondo capitolo del libro di Accoto, porta ad immaginare quali sono le possibilità dell’immagine senza referente. Il terzo capitolo dal titolo “L’atto osceno” è un tuffo nel futuro: la macchina che agisce e crea una situazione in cui un sistema può andare avanti senza freno. E siamo al punto che tutti discutono: human in the loop! L’uomo deve rimanere al centro dell’evoluzione? Certo ma lo può essere solo se collabora con la macchina. Fra poco Rai.Com pubblica un mio libro che impone di ripensare a una realtà a partire da una fisica diversa da quella a cui siamo abituati: la fisica quantistica. In essa c’è il nostro mondo non più determinato ma indeterminato. Su questa indeterminazione serve iniziare una riflessione di un’innovazione temporale. E il nostro osservatorio è sicuramente l’ambiente ideale per avviarla.