Ieri, martedì 6 maggio, la posta m’ha consegnato una lettera –sì, proprio una lettera, evento ormai rarissimo-, che, “sperando di farmi cosa gradita”, mi informava che il 24 aprile –cioè due settimane or sono- sarebbe scaduto il termine per la presentazione della domanda alla prova di selezione di 100 giornalisti Rai.
Sento già tutti voi tentati dal ‘cliccare via’: “Il solito pezzo sui ritardi della posta”, un classico che solo la progressiva scomparsa –appunto- di lettere e cartoline sta rapidamente sopprimendo. No!, non è così: state lì, ché sarò breve.
Dunque: la lettera, datata 7 aprile, segnala la scadenza di un bando –per altro, stranoto ai giornalisti- il 24 aprile e viene recapitata il 6 maggio… Curioso… Ma il problema non è questo…
Quel che mi colpisce è che la lettera viene recapitata a me e –ho naturalmente fatto varie verifiche- ad altri colleghi in una situazione analoga alla mia –pensionati o, comunque, con il proprio futuro professionale ormai alle spalle-, che, oggettivamente, non c’entrano nulla con il bando e il concorso, destinato, si spera, ad immettere nella Rai professionalità giornalistiche fresche e giovani, a dare uno sbocco alle attese di precari, a premiare il merito sui criteri d’assunzione più triti del passato.
A scrivermi la lettera, è una società che -ovviamente previa congrua retta- s’impegna a prepararmi ad affrontare il concorso. Ora, il fatto che la missiva sia stata mandata a me ed a tanti miei colleghi ‘fuori gioco’ non è uno scandalo, perché non comporta spreco di denaro pubblico –al massimo, è stata la società in questione ad avere sprecato un po’ del suo denaro-. E non è neppure un’offesa, perché forse, anzi certo, trarrei anch’io beneficio da quel corso: l’esperienza non elimina l’esigenza dell’aggiornamento; e frequentandolo imparerei di sicuro un sacco di cose.
L’arrivo della lettera solleva, piuttosto, qualche interrogativo sulla formazione professionale, tanto più acuto perché, da quest’anno, e a mio avviso giustamente, tutti i giornalisti professionisti, pure i pensionati, sono tenuti alla formazione continua. Nascono, dunque, iniziative per soddisfare l’esigenza: molte serie –spero tutte quelle con l’autorevole avallo dell’Ordine dei Giornalisti-, che puntano ad arricchire, magari sotto angolature specifiche, i colleghi che le frequentano.
Ma c’è pure chi considera l’aggiornamento e la formazione un vero e proprio affare. Con il rischio che chi frequenta i corsi concepiti con questo presupposto si ritrovi, alla fine, più povero, avendo dovuto pagare una quota non simbolica, senza uscirne davvero arricchito professionalmente, ma, magari, solo nutrito dall’illusione di avere investito sul proprio futuro.
Attenti!, giovani colleghi: senza lavoro, o precari, magari pure sfruttati da chi vi attira col miraggio di aiutarvi.