I fuochi d’artificio del 4 Luglio sul Mall di Washington e in tutte le città degli Stati Uniti getteranno squarci di luce sulla legge “grande e bella” voluta dal presidente Usa Donald Trump per gratificare, con tagli delle tasse, i ‘paperoni d’America’, ma non illumineranno la pace né nella Striscia di Gaza né in Ucraina, dove, anzi, i lampi restano di guerra.

Sul fronte della Striscia di Gaza, Trump preannuncia il sì di Israele a una tregua, in attesa, però, che Hamas si pronunci. La svolta potrebbe avvenire in coincidenza con l’incontro a Washington, lunedì 7 luglio, tra Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ma è già accaduto che i negoziati, mediati da Egitto e Qatar, arrivassero a un passo dall’intesa e poi tornassero alla casella di partenza.

Sul fronte dell’Ucraina, l’ultima novità è lo stop alla fornitura a Kiev d’armi e munizioni americane: non è chiaro che cosa ciò significhi, nel breve e nel medio termine, per le capacità di resistenza ucraine all’invasione russa.

Appare ormai evidente, però, che Trump non ha più, ammesso che l’abbia mai avuta, una strategia di pace complessiva. A menare le danze, sono Netanyahu in Medio Oriente e il presidente russo Vladimir Putin in Ucraina. A Washington, il magnate presidente procede a zig-zag e sposta sempre l’attenzione sul terreno a lui più congeniale: quando sale la temperatura delle proteste all’interno, bombarda l’Iran; quando si scopre impastoiato nei contenziosi internazionali, punta i riflettori sull’economia e sui dazi – è imminente la scadenza del 9 luglio, quando la tregua unilateralmente dichiarata il 9 aprile dovrebbe scadere, con la Cina, l’Ue, il Giappone e l’Universo Mondo -..

Le guerre che dovevano cessare in un giorno dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca vanno avanti e, anzi, si allargano. Ma, sui fronti interni, l’Amministrazione Trump 2 colleziona vittorie, legislative, giudiziarie, nella caccia ai migranti da deportare. Atenei, media, studi legali s’arrendono alle soperchierie nel timore di conseguenze peggiori.

Per il New York Times, i repubblicani con la legge “grande e bella” mettono in gioco il loro destino politico e la loro sopravvivenza. E, in un’analisi, il Financial Times parla di “maledizione politica” per i repubblicani. Sembrano più auspici democratici che analisi razionali: è difficile che il ‘popolo di Trump’, che se ne beve le fandonie più palesi, si metta ad analizzare in dettaglio contenti e implicazioni della legge finanziaria.

 

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.