Dietro le fitte trame di un giallo da leggere tutto in un fiato, ne Il ciondolo di Alice si nasconde una storia personale, in cui Filippo Nanni saluta e rende omaggio al “mestiere più bello del mondo”, il giornalista. Nella sua accezione più avventurosa e noir: la persona che non smette di farsi e fare domande e che non si accontenta delle spiegazioni arrivate troppo in fretta, il watchdogche fiuta e scova la verità. Non solo: quello che Nanni propone è un ragionamento esperto, tra Chat GPT, smartphone, passwords e hacker, sul mondo dell’informazione, un Lungo addiosu un Viale del tramontoche lui stesso ha visto mutare radicalmente in prima persona.

Dopo quattro testi dedicati al giornalismo di cronaca, dal G8 di Genova ai luoghi comuni che spopolano ancora e purtroppo, Nanni regala un romanzo da leggere a più livelli. Alice è una giornalista televisiva che viene ritrovata morta in casa sua da Teresa, sua collega al telegiornale, e dal portiere del palazzo romano dove abita. “Aveva una grave forma di diabete che è sempre stata la nostra spada di Damocle”, spiega la mamma a un giornalista/investigatore che, come il Tenente Colombo, vede troppi “fili fuori posto” e fa troppe domande, perché sono tanti i dubbi senza risposta. Perché Nanni ci racconta che non si può scappare dalle proprie vocazioni e dai propri talenti, e quindi quest’uomo, stanco di smaltire ferie tra un Kojace un ispettore Morse,non può fare a meno di notare indizi.

All’inizio sono dettagli, piccole sfumature che però, viste da vicino, si trasformano in disegni definiti, insegne con frecce luminose, piste, nuove verità. Un ombroso personaggio dal nome straniero, brokers, azionisti e galoppini della camorra collegano l’Europa all’America Centrale, mentre il cronista/detective si muove sulla penisola italiana inseguendo una chimera e riempiendosi il bicchiere e il piatto di ottimi vini e cibi, da quelli romani ai liguri, che danno un respiro intimo emediterraneo al Montalbanodi Nanni.

Come intimo è il racconto che si propone del nuovo giornalismo, in cui più che watchdogsi è babysitters, dell’ansia dell’anonimato, di un mondo in cui se non sei un pesce grande non sei niente, in cui si passano ore a “confezionare” servizi, in cui l’iniziativa personale è ridotta al minimo, in cui si può rischiare la vita per uno scoop, perché senza non sei una vera giornalista.

 

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