Limiti nell’estrazione, controllo rigoroso della spesa pubblica, congelamento dei salari, politica di austerità nonostante l’aumento del PIL. Le regole per evitare “gli effetti collaterali” dell’export di idrocarburi

Il professor Øystein Noreng ha dedicato gran parte della sua vita accademica (insegna alla Norvegian School of Management ed è direttore del programma sull’Energia) al petrolio, al gas e alla corretta gestione delle risorse petrolifere “di cui il mio paese è un esempio”, dice. L’accademico è stato consulente del Ministero delle Finanze, ricercatore alla Rockefeller Foundation, ha lavorato per stati stranieri (il Dipartimento di Stato e lo U.S. Internal Revenue Service), la Banca Mondiale. È membro della Norwegian Petroleum Association e del Petroleum Economics Committee. Ha scritto diversi libri (i più famosi sono Oil Politics in the 1980 e Crude power: politics and the oil market) e ne sta finendo un altro sul petrolio dalla guerra in Iraq in poi.
Øystein Noreng è orgoglioso del suo paese, dell’economia, dei risultati sociali, e in fin dei conti della ricchezza dei norvegesi.

Una ricchezza prodotta dal petrolio e dal gas?

In questo anno di crisi, il 2011, la Norvegia ha avuto risultati economici molto lusinghieri che sembrano quasi fuori dal tempo odierno, come il 3 percento di crescita registrato dal prodotto interno lordo, che ha superato quello del 2008. La disoccupazione è scesa al 3,3 percento. Inoltre la nostra moneta, la corona, è forte e il costo del lavoro è alto, quindi il reddito pro capite si mantiene sui 55.000 euro l’anno. Non c’è alcun cittadino che vive sotto la soglia di povertà e la ricchezza è ben distribuita fra la popolazione.
Nel settore degli idrocarburi, sempre fondamentale per la buona salute economica del Regno, gli investimenti del 2011 hanno superato i 152 miliardi di corone (quasi 20 miliardi di euro) e sono stati impiegati tutti nel settore dell’esplorazione. Nello scorso autunno un grande giacimento è stato scoperto nella zona di Avaldnes- Aldous nel mare del Nord.
La Norvegia è il terzo esportatore mondiale di gas e il quinto di petrolio. Abbiamo 2,2 milioni di chilometri quadrati interessanti per il petrolio, contro gli 1,6 del Golfo del Messico. Gli idrocarburi rappresentano la metà dei redditi che il Regno ricava dalle esportazioni, un quarto degli investimenti, un quarto degli introiti statali, e un quinto del prodotto interno lordo.

Da questi dati si deduce una certa austerità nella gestione delle rendite petrolifere. Niente sprechi a differenza di altri Paesi ricchi di idrocarburi che spendono e spandono.

Il regime di gestione delle risorse petrolifere norvegesi si basa su alcuni concetti fondamentali. Sin da quando, alla fine degli anni ’60, è sgorgata la prima goccia di petrolio, abbiamo stabilito il diritto del popolo norvegese alle rendite petrolifere. Su questa base il governo ha assorbito almeno l’80 percento degli utili negli anni, ma senza regalare niente a nessuno. Lo stato utilizza solo una piccola parte delle risorse petrolifere.
Quando scoprimmo il primo giacimento avevamo in Norvegia un alto reddito e quasi la piena occupazione. Dovevamo stare attenti a come usare le risorse, a non farle finire, metterle a beneficio della società. Il ministro delle Finanze di allora disse: ”attenti, il petrolio non è eterno, darà denaro ma non dobbiamo diventare schiavi del denaro, dobbiamo fare attenzione all’uso”. E quindi andammo contro corrente rispetto ad altri Paesi: limiti nell’estrazione a differenza della Gran Bretagna di Lady Thatcher, controllo rigoroso della spesa pubblica e stop all’aumento della medesima, congelamento dei salari, politica di austerità nonostante l’aumento della ricchezza dello Stato provocato dal petrolio. Fu una grande idea. Ci trovammo infatti in notevole forma quando il petrolio, a causa della guerra fra Iraq e Iran, passò dai 12 dollari al barile nel 1967 ai 40 dollari nel 1980. Nel 1986 altro passo in avanti nella austerità. Poi, nel 1990, si decise, opportunamente,di costituire il Fondo Norvegese per il petrolio, gestito dalla Banca Centrale.

Come funziona?
La Banca Centrale, Norges Bank, che ha avuto totale indipendenza dal governo con una legge del 2001, amministra il Fondo (il più grande del mondo con quasi 400 miliardi di dollari a disposizione, ovvero 85 mila dollari per ogni cittadino norvegese) a nome e per conto del ministero delle Finanze. Non vi è quindi alcuna commistione fra i politici e il Fondo. Solo il 4 percento degli utili del Fondo viene messo a disposizione dello Stato. A parte questo 4 percento annuo, il petrolio e il gas, per i cittadini norvegesi, è come se non ci fossero, sono un mondo a parte. Il Paese ha anche altre fonti di reddito (agricoltura, energia di origine idroelettrica ed eolica, pesce, minerali, noli marittimi, hi-tech, turismo, legno).

Così non avete mai avuto e non avete tuttora quei problemi che affliggono altri paesi petroliferi dove la ricchezza energetica ha portato ad autoritarismo, instabilità economica, corruzione, conflitti…

La Norvegia era una democrazia perfetta ancora prima della scoperta del petrolio lungo le sue coste nel 1970. Abbiamo una democrazia da 700 anni. Tutti i norvegesi leggono e scrivono da centinaia di anni. Abbiamo l’obbligo scolastico da 300 anni. Nei secoli passati la Scandinavia fu più povera della Spagna. Ma la nostra vera ricchezza, quella che muoveva tutto il resto, stava, già allora, nell’educazione e nella cultura. Siamo un Paese che spende bene i suoi soldi, la nostra moneta è forte e la nostra banca Centrale ha dovuto perfino prendere di recente dei provvedimenti per limitare la corsa degli stranieri alla nostra corona, vista la sfiducia nell’euro e nelle prospettive economiche dell’Unione Europea
Secondo l’Indice dello sviluppo umano (IDH) pubblicato dal programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo siamo in testa ai Paesi in cui si vive meglio.

Come vengono investiti i soldi del Fondo Norvegese per il petrolio…

Ora si chiama “Pension Fund”, Fondo pensione, quindi è chiara la sua funzione di salvaguardare nel tempo il nostro benessere e la nostra sicurezza sociale. Il Fondo ha investito il 60 percento in azioni e il 40 percento in bond. I cittadini sono informati, attraverso il sito internet della banca Centrale, della qualità e della quantità degli investimenti e del loro andamento. Noi siamo una società molto trasparente dove ogni norvegese è azionista dello stato. Ovviamente, nel 2011 anche il nostro Fondo ha corso qualche rischio, ma limitato grazie ad una gestione molto oculata. Ora si vuole diversificare di più andando anche sull’immobiliare sicuro e profittevole. Vede, il nostro primo ministro Jens Stoltenberg è un macroeconomista, teme la spesa e l’inflazione e propugna un’alta produttività capace di favorire lo sviluppo. Il salario minimo in Norvegia è di 20 dollari l’ora per 37 ore alla settimana. Chi lavora di più paga più tasse. Abbiamo buoni servizi, buoni salari, scuola e sanità ottime, un alto tasso di natalità: le norvegesi fanno figli, hanno permessi di maternità di un anno e anche gli uomini, ministri compresi, possono prendere tre mesi di licenza quando diventano padri.

La Norvegia ha anche una grande tradizione di interventi umanitari all’estero, di aiuti, di cooperazione alla ricerca e allo sviluppo…

È vero, abbiamo un forte impegno etico ed umanitario e una lunga tradizione di aiuto ai poveri del mondo e ai perseguitati politici, molti dei quali hanno trovato accoglienza da noi. E poi abbiamo un programma che si chiama Oil for Development. Assistiamo così nella ricerca grandi paesi come il Brasile, dove Statoil, la nostra impresa nazionale petrolifera, è tra le prime compagnie. Ma assistiamo anche il Ghana, l’Angola, Timor Est. Nella ricerca del petrolio e del gas, in mare e sulla terra ferma, shale gas compreso, siamo davvero forti.

Che futuro vede per il petrolio. Continuerà la corsa al rialzo?

Se ci sarà una guerra fra Iran e Israele succederà di tutto. Ma se non accadrà nulla di negativo in Medio Oriente il petrolio, a mio avviso, potrebbe scendere, col tempo, a 60 dollari al barile. Lo shale oil e lo shale gas hanno grandi prospettive. Comunque ci va bene. Oggi il nostro costo di produzione è di 12 dollari al barile e il prezzo di mercato è 120 dollari .

Qual è il mercato a cui la Norvegia è più interessata?

Ovviamente l’Europa, anche se ci sono dei problemi. Ci vorrebbe un unico ministro europeo per l’Energia, un solo interlocutore con cui parlare e lavorare. Come le ho detto il nostro modello è tassazione, sviluppo, trasferimento di conoscenze, controllo della spesa, ma anche Europa come partner, visto che noi non facciamo parte dell’Unione Europea, anche se siamo nella European Economic Area. Il governo con le rendite petrolifere punta a stabilizzare l’economia ed a creare lavoro.

Insomma un futuro roseo…

Quattro milioni e ottocentomila norvegesi sanno che noi siamo un prospero bastione del welfare capitalism che mescola il libero mercato con l’intervento governativo. Produciamo 3 milioni di barili al giorno, copriamo il 16 percento del consumo di gas in Europa. Il 60 percento del piede della scarpata continentale norvegese è aperto all’attività esplorativa e c’è anche la vostra Eni che collabora bene con la nostra Statoil. Nel nostro sottosuolo, dove sta ancora il 60 percento delle nostre risorse, ci sono almeno 13 miliardi di metri cubi di petrolio e poi c’è il mar di Barents, la nostra nuova frontiera dell’esplorazione. Statoil nei pressi di Bear Island ha già fatto grandi scoperte. Abbiamo fatto un trattato coi russi per stabilizzare le frontiere. E prima o poi entrerà in scena l’area Lofoten-Westeralen. Ci sarà da lavorare molto in quel clima gelido, perforando a grandi profondità, una tecnica nella quale primeggiamo. Ma ne abbiamo tutti i mezzi e le possibilità. Il nostro modello economico-politico-sociale di gestione delle risorse petrolifere, ci dà ottimismo, la virtù dei forti.

Carlo Rossella

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