Peter Gomez

Intervista a cura di Davide Paolacci, Francesca Rocca e Luca Sellani della classe di Agenzie e Nuovi Media del cdl in Editoria e Scrittura di Lettere dell’Università Sapienza di Roma

La crisi della carta stampata ha permesso l’intromissione di editori, il cui business principale non è certamente la vendita di giornali. Possedere un canale privilegiato di comunicazione con il pubblico e con il potere politico influisce sulle attività principali degli imprenditori, subentrati nel mercato editoriale a partire dagli anni ‘90. Una condizione che contribuisce a limitare la libertà di stampa.

Perlomeno questo è quanto emerge dalle parole di Peter Gomez, giornalista e condirettore de Il Fatto Quotidiano. Noto per i suoi lavori d’inchiesta su figure politiche, ha vissuto in prima persona limiti e importanza della libertà di espressione nel nostro Paese.

A fronte della sua esperienza e considerando il panorama mediatico recente, quale ritiene essere il fattore dirimente nella limitazione della libertà di stampa e di espressione, nel giornalismo italiano?

Se mi permettete una battuta, i giornalisti italiani (ride). Finché i giornali facevano soldi, i giornalisti avevano più autonomia: se incassava abbastanza, l’editore poteva chiudere un occhio. Pubblicare una notizia era meno rischioso perché comunque il giornale veniva comprato e un guadagno riusciva lo stesso. Invece con la crisi economica di oggi, i giornali servono per dialogare con il potere e gli editori li usano per questo. Il loro scopo è ammansire o adulare la politica. Un giornale che esce dall’ottica schiettamente capitalistica del guadagno permette meno libertà ai suoi dipendenti.

In un suo intervento in occasione della giornata internazionale contro la corruzione, durante l’iniziativa “liberi di esprimersi e di informarsi”, afferma che la limitazione della libertà di stampa non sia esclusivamente da imputare all’operato coercitivo dei governi negli ultimi vent’anni, ma anche ad un atteggiamento complessivo della stampa e degli editori. Quali sono nello specifico le colpe della stampa? C’è un modo in cui la stampa e i giornalisti possono incidere sulla condizione attuale?

Un atteggiamento coercitivo c’è stato, ma i giornalisti hanno reagito male. Come ho detto prima, il problema essenziale della stampa italiana sono i giornalisti italiani, il cui unico dovere è quello di pubblicare delle notizie. La politica poi ha certamente il suo peso. Ma il problema principale rimane l’editoria non più a sistema redditizio. In più, editori che fanno anche altro oltre gli editori non dovrebbero esserci. Anche nel caso di quelli più “puri”, hanno comunque anche altre attività imprenditoriali in altri settori, come Urbano Cairo [proprietario del Torino F.C. N. d. R.]. Anche su questo non sono d’accordo. Non ci dovrebbero essere editori che fanno anche altro.

Per incidere sulla condizione attuale serve che i giornali comincino a fare il loro lavoro, ovvero pubblicare le notizie che si hanno a disposizione. Ma deve partire dalla direzione.

Quindi ritiene che i giornalisti non abbiano un ruolo a riguardo?

Certo che lo hanno! Il fatto che debba partire dalla direzione non significa che i giornalisti non rientrino nel discorso. I giornalisti devono avere la schiena dritta e pubblicare le notizie che hanno. Ma è anche vero che molti non le cercano.

Quali sono le prospettive future per la libertà di stampa in Italia?

Le prospettive future per la libertà di stampa sono pessime, in Italia ma anche in tutto il mondo. Si tratta di una libertà che deve essere assoluta e deve essere sostenuta in modo assoluto. I meccanismi che ho detto essere il problema sono infatti tipici anche dell’editoria giornalistica anglosassone.

Ci sembra chiaro che non ritiene che la libertà di stampa goda di buona salute al momento. Come ultima domanda, potrebbe indicarci un momento che ritiene esemplare di questa condizione?

Sì. La guerra in Ucraina è emblematica del decadimento dell’informazione. Quello che ci si è dimenticati è che la vera prima vittima di ogni guerra è la verità: è stato preso per falso tutto quello che proveniva da una delle due parti. In troppi hanno creduto alle informazioni fornite dai servizi segreti e alla propaganda, scordando che il compito dei servizi segreti è anche fare disinformazione. È stato l’esempio di un giornalismo di parte, dove chi faceva notare questa tendenziosità era sbeffeggiato e definito putiniano. Lo stesso è successo con Assange quando scoppiò il caso mediatico su di lui.  La libertà di stampa è un lavoro di gruppo.

 

 

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