di RUBEN RAZZANTE
La problematica della gestione dei diritti dei contenuti digitali, denominata Digital Rights Management (DRM), intercetta il tema più generale del rapporto di fiducia tra produttori e consumatori e quello della diffusione dei contenuti. Le violazioni del diritto d’autore risultano capaci di danneggiare una pluralità di soggetti: gli autori delle opere, l’industria nella pluralità dei suoi comparti di produzione di opere dell’ingegno creativo, lo Stato, in termini di evasione fiscale, e i consumatori, sempre in balìa di frodi e contraffazioni (oltre che di sanzioni, anche penali, nelle quali gli utenti finali possono incorrere).
Sia la giurisprudenza che la legislazione fanno grande fatica nel rincorrere le novità dettate dal progresso tecnologico. Sebbene la legge speciale sul diritto d’autore (n.633/41) abbia subito numerosi e opportuni aggiornamenti, rimangono molte falle nell’apparato normativo attuale e la tutela dei DRM risulta davvero problematica.
L’essenza dei diritti morali e patrimoniali riconducibili all’autore di un’opera dell’ingegno resta in buona parte immutata, ma, essendo cambiate le tecniche di diffusione e fruizione delle opere, è evidente che si profilano, anche per il diritto, nuove avvincenti sfide per ciò che attiene la predisposizione di meccanismi di tutela dei diritti e le possibili modifiche dei parametri di valutazione dei requisiti di originalità, novità e creatività dell’opera.
Occorre allora tentare di governare l’innovazione tecnologica, incanalandola nel flusso virtuoso del potenziamento dei servizi a favore dell’utenza, anche in una logica di crescente interattività. Con i DRM, il cui significato letterale è gestione dei diritti digitali, si intendono i sistemi tecnologici mediante i quali i titolari di diritti d’autore possono esercitare e amministrare tali diritti nell’ambiente digitale, grazie alla possibilità di rendere protetti, identificabili e tracciabili tutti gli usi in Rete di materiali adeguatamente “marchiati”. Si tratta di misure tecnologiche volte a limitare o impedire le possibilità di utilizzo non consentito delle opere dell’ingegno contenute su supporti fisici o in ambiente digitale, garantendo che i contenuti che circolano in rete vengano pagati.
L’approccio open content, sempre più diffuso in molti ambiti della produzione creativa, potrebbe rappresentare la frontiera più facile da coltivare: l’aperta condivisione e la libera distribuzione delle opere presenti nell’ambiente digitale, oltre che avere effetti in termini di disintermediazione (eliminazione degli intermediari a tutti i livelli e in molteplici ambiti), può garantire in taluni casi ai talenti “in erba” di farsi conoscere e di affacciarsi sul mercato senza più patire barriere all’ingresso.
Ruben Razzante
Professore di diritto della comunicazione per le imprese e i media
(Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
Consigliere d’amministrazione della Fondazione Ugo Bordoni