di Giulia Cifeca-Recinella, Chiara Liuzzo e Eleonora Pittau della classe di Agenzie e Nuovi Media del cdl in Editoria e Scrittura di Lettere dell’Università Sapienza di Roma

In un mondo in cui la libertà di stampa e di espressione è sempre più minacciata, è fondamentale chiederci se stiamo davvero proteggendo questi diritti o se, inconsapevolmente, li stiamo lasciando erodere. A questa sfida si aggiunge una minaccia subdola e destabilizzante: la disinformazione. Non si manifesta con censura diretta, ma si infiltra silenziosamente attraverso manipolazioni, la viralità di contenuti falsi e un sovraccarico informativo che rende difficile discernere il vero dal verosimile.

In questo scenario, il lavoro di chi si occupa di verifica e trasparenza diventa essenziale: NewsGuard, organizzazione fondata nel 2018 da Steven Brill e Gordon Crovitz, affronta proprio questa sfida, combinando il giornalismo di qualità con un approccio innovativo per contrastare la disinformazione online. Virginia Padovese, nel ruolo di Managing Editor e Senior Vice President  per Europa, Australia e Nuova Zelanda, spiega in quest’intervista come la disinformazione minacci le democrazie e quanto sia cruciale l’alfabetizzazione digitale per difendere non solo la qualità dell’informazione, ma anche le basi stesse delle nostre società democratiche.

La libertà di opinione è un diritto fondamentale, ma dove si colloca il confine tra libertà e abuso? Il giornalismo ha ancora l’autorevolezza per farlo?

La libertà di opinione è un diritto fondamentale, ma non può diventare un alibi per diffondere falsità. Alcune affermazioni, se dimostrabilmente false o dannose per la democrazia, non possono essere considerate opinioni. È essenziale distinguere tra opinioni legittime – anche divergenti e politicamente orientate – e narrative prive di basi fattuali. Il buon giornalismo deve garantire spazio a tutte le opinioni, ma con trasparenza: deve chiarire se un contenuto è una notizia, un commento o un’analisi, usando etichette che aiutino il lettore a orientarsi. Altro punto cruciale è la verifica: le redazioni devono controllare i fatti, consultare fonti attendibili e avvalersi di figure come i fact-checker per non amplificare contenuti falsi. La disinformazione è un fenomeno complesso, che richiede un approccio integrato: buon giornalismo, educazione ai media e regolamentazione degli spazi digitali.

La disinformazione non censura, ma crea rumore, confonde, scredita le fonti e mescola fatti e opinioni. È solo un effetto del digitale o una strategia mirata contro la libertà di stampa? Il fact-checking è “contro-censura”? Come ridare ai cittadini fiducia nella verifica dei fatti come atto democratico?

La disinformazione non è solo una conseguenza del digitale, ma spesso il frutto di campagne mirate. Un esempio è la propaganda russa, che punta a influenzare le democrazie occidentali e i processi elettorali. Con l’avanzare dell’intelligenza artificiale, i disinformatori cercano di manipolare anche i chatbot, inondando il web di contenuti falsi per influenzare i modelli linguistici. Secondo NewsGuard, una rete di circa 150 siti pro-Russia, attivi in 46 lingue, ha pubblicato oltre 3 milioni di articoli in un anno per saturare il web e diventare citabile dall’AI. Il fact-checking, invece, è uno strumento trasparente e verificabile: non è censura, ma giornalismo basato su fonti, dati e metodi chiari. Eppure, quando Meta ha sospeso negli Stati Uniti le collaborazioni con organizzazioni indipendenti di verifica dei fatti, sono emerse critiche che accusavano il sistema di parzialità ideologica. In realtà, proprio la tracciabilità del fact-checking ne garantisce l’affidabilità, rendendolo un presidio di qualità informativa.

Quale responsabilità hanno giornalisti e fact-checker nel promuovere una cultura pubblica più consapevole?

Il fact-checking è fondamentale, ma non sufficiente: interviene a posteriori, quando l’informazione è già circolata e, magari, è diventata virale. Per questo va affiancato al pre-bunking, cioè alla formazione preventiva, che aiuta le persone a riconoscere fonti affidabili prima che le notizie false si diffondano. NewsGuard, ad esempio, valuta i siti d’informazione con schede basate su criteri giornalistici chiari, come trasparenza editoriale, distinzione tra fatti e opinioni, presenza di correzioni e frequenza di contenuti fuorvianti. Ogni sito riceve un punteggio da 0 a 100 e una valutazione dettagliata utile all’utente. In generale, penso sia fondamentale un’educazione diffusa: fin dalla scuola primaria andrebbero insegnate le basi della lettura critica e della verifica delle fonti. In Italia, però, mancano ancora programmi ministeriali strutturati: lo sviluppo del pensiero critico resta spesso nelle mani dei singoli insegnanti.

Ad oggi sono i giovani, nativi digitali, a essere più preparati o le generazioni adulte, pur meno esperte dal punto di vista tecnico, a mostrare maggiore cautela nei confronti dei pericoli dell’informazione scorretta?

Credo che il problema sia trasversale e riguardi tutte le generazioni: i giovani, com’è naturale, conoscono meglio gli strumenti digitali e li utilizzano in modo più rapido e completo, ma non necessariamente hanno una corretta consapevolezza dei rischi. Le generazioni più adulte non sono cresciute in un ambiente iperconnesso, ma tendono a porsi qualche domanda in più di fronte ai contenuti che leggono. In ogni caso, i programmi di NewsGuard sono pensati per coinvolgere tutte le fasce d’età: interveniamo sia nelle scuole, dove lavoriamo con studenti e docenti, sia in spazi pubblici come le biblioteche, dove organizziamo incontri aperti anche agli adulti e agli anziani.

C’è stato un momento specifico, o un caso emblematico, in cui ha percepito con urgenza che contrastare la disinformazione non era solo una questione giornalistica, ma una necessità democratica?

È una percezione che ho ogni giorno, soprattutto quando monitoro la disinformazione legata a conflitti internazionali o a elezioni. Abbiamo seguito da vicino le narrazioni false sulla guerra in Ucraina, sul conflitto a Gaza, sulle elezioni europee e statunitensi. In questi contesti, la disinformazione è particolarmente intensa perché in gioco ci sono grandi interessi politici e geopolitici. Il suo impatto è molto concreto: mina le basi della democrazia, perché i cittadini devono essere informati per poter scegliere consapevolmente. Le campagne di disinformazione polarizzano il dibattito, alimentano sfiducia, rabbia, e rendono difficile il confronto civile. Lo abbiamo visto, ad esempio, nelle settimane prima delle elezioni europee, con un aumento significativo di notizie false contro le istituzioni dell’Unione. Il rischio è che la disinformazione non solo ostacoli l’accesso a contenuti attendibili, ma comprometta la fiducia dei cittadini e la legittimità stessa del processo democratico.

 

 

 

 

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