Intervista a cura di Nefer Anania, Federica Fazio, Gabriella Pirollo
Per Luciano Galassi perseguire la libertà di stampa e d’informazione oggi è sempre più difficile. Nel corso degli anni, governi di vari colori politici hanno preso provvedimenti che tentano di limitare il ruolo di “cane da guardia” del giornalista. Ma il giro di vite più forte si è avuto negli ultimi anni con la legge Cartabia e la legge Costa che rendono il giornalismo d’inchiesta e quello giudiziario una strada sempre più tortuosa. Un ulteriore ostacolo è costituito dalle cosiddette “querele temerarie” che possono intimorire giornalisti – soprattutto precari – di piccole e grandi testate.
Luciano Galassi, ex caporedattore centrale dell’Agi, ha seguito le maggiori inchieste giudiziarie nazionali dal 1984 fino al 2000: terrorismo, mafia, grandi gialli giudiziari, indagini di mani pulite. Attualmente in prepensionamento, si occupa del sindacato dei giornalisti.
Ritiene che al giorno d’oggi la libertà di stampa e di espressione sia a rischio?
“Diventa sempre più difficile – secondo l’intervistato – perseguire la libertà di stampa. Ciò è principalmente dovuto ad alcuni provvedimenti legislativi.” La legge Cartabia limita la divulgazione ufficiale delle inchieste giudiziarie, delegando ai capi delle procure la diffusione della notizia con comunicati o conferenze stampa. A complicare il quadro, segue la legge Costa, che vieta al giornalista di pubblicare brani o parti delle ordinanze di custodia cautelare. La stessa legge consente però al giornalista – nonostante sia un terreno scivoloso – la possibilità di “interpretare liberamente” quanto contenuto nell’ordinanza. Per Galassi “il dovere del giornalista resta sempre quello di informare l’opinione pubblica.” Il mondo del giornalismo italiano opera oggi “all’interno di un’ininterrotta campagna elettorale”. Le conferenze stampa del governo sono ridotte al minimo, spesso sostituite da prodotti audiovisivi, e in questo modo il giornalista non ha più la possibilità di porre domande al potere ed evidenziarne, eventualmente, le contraddizioni.
Il giornalismo d’inchiesta non è interessato solo alla notizia, ma si propone di scavare alla ricerca della verità. Quali sono le differenze tra giornalismo d’inchiesta e giudiziario?
“Sono due rette parallele, ma che a volte possono prendere strade diverse, perché esiste la verità giudiziaria e la verità storica.” Un esempio, sul quale il giornalista ha lavorato per diversi anni, è la strage del DC9 di Ustica, per cui ancora oggi – pur essendo stato accertato che si trattò di un missile a causare la strage – non si conosce però con certezza la nazionalità del Paese responsabile.
Rispetto ad Ustica, oggi la situazione è ancora la stessa?
Oggi, per i giovani giornalisti “è diventato sicuramente più difficile farsi una rete di fonti.” Le redazioni spesso vengono “svecchiate” – con prepensionamenti e stati di crisi – ma non si verifica un passaggio di testimone dal giornalista anziano al giovane collaboratore. Questi ultimi facendo inchieste possono subire minacce o querele temerarie, con richieste di risarcimento esorbitanti, che un free lance pagato irrisoriamente non può permettersi.
Il giornalismo è ancora in buona salute?
“La gente legge poco, i giovani non comprano i giornali” osserva l’intervistato descrivendo le difficoltà del giornalismo tra calo di lettori e fake news dilaganti. L’intelligenza artificiale offre nuove possibilità, ma non senza rischi. “Essa deve far parte del mondo dell’informazione, perché non si può frenare il progresso, ma non deve sostituire il lavoro del giornalista”. Per esempio, dice Galassi, se si chiede all’AI un articolo su Ustica, essa “ne sforna uno scritto anche bene, perché si è fatta il giro del web. Ma quella notizia, chi la controlla?” Per questo, conclude “serve qualcuno ferrato in materia che governi l’intelligenza artificiale e la utilizzi con intelligenza umana.”