Guerre

Arriva dal Vaticano una proposta che potrebbe dare una scossa ai negoziati per la pace tra Russia e Ucraina, dopo la falsa partenza a Istanbul la scorsa settimana, con la riunione – la prima dopo oltre tre anni – fra delegazioni dei Paesi in guerra: quasi un flop, assenti i leader e con un unico risultato concreto, lo scambio di mille prigionieri per parte, il più grosso mai realizzato. Papa Leone XIV fa sapere e il segretario di Stato Pietro Parolin conferma che la Santa Sede è disponibile a organizzare e a ospitare le trattative. Papa Prevost, il primo papa nord-americano, ha avuto accoglienze positive sia da Mosca che da Kiev e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky lo ha incontrato, in occasione delle cerimonie di inizio pontificato domenica scorsa: per la pace, può giocarsi la carta di essere ancora scevro di critiche dall’una e dall’altra parte.

Non a caso il Wall Street Journal scrive che un nuovo incontro tra Russia e Ucraina potrebbe tenersi in Vaticano a metà giugno. Per il giornale, il nuovo round di colloqui diretti sarà presente anche una delegazione statunitense con il segretario di Stato e consigliere ad interim per la Sicurezza nazionale Marco Rubio e con l’inviato per l’Ucraina Keith Kellogg.

Sempre secondo il WSJ, il presidente Trump ha detto ai leader europei che il presidente russo Vladimir Putin non è pronto a mettere fine alla guerra in Ucraina perché ritiene di stare vincendola. L’impressione è stata trasmessa da Trump ai suoi interlocutori europei dopo la lunga telefonata fra lui e Putin di lunedì scorso 19 maggio.

Ora come ora, infatti, il problema non è il luogo del negoziato, ma la trattativa stessa, il cui successo non è affatto assicurato. La Russia la tira in lungo, logorando il credito incomprensibilmente datole dal Trump 2, e cerca d’acquisire sul terreno ulteriori vantaggi; e gli europei le scaricano addosso una bordata, l’ennesima – è la 17° -, di sanzioni economico-commerciali.

Dopo il ‘Vertice degli assenti’ a Istanbul e la telefonata di lunedì tra i presidenti Usa Donald Trump e russo Vladimir Putin, con il corollario di consultazioni di Trump con Zelensky e i suoi maggiori interlocutori europei, l’attenzione e l’apprensione umanitaria internazionale è però tornata a puntare sulla Striscia di Gaza, dove Israele mantiene la pressione militare, con decine di vittime ogni giorno, e continua a centellinare gli aiuti umanitari, attirandosi critiche e – finalmente – misure ‘punitive’.

Mercoledì mattina, due giorni dopo l’annuncio della ripresa con il contagocce del flusso di viveri e medicinali – “una goccia nel mare”, dicono le organizzazioni umanitarie -, gli aiuti non erano ancora arrivati alla popolazione palestinese, nonostante l’ingresso nella Striscia di un centinaio di autotreni.

La Gran Bretagna sospende i negoziati commerciali con Israele per un accordo di libero scambio e annuncia sanzioni contro i coloni che in CisGiordania compiono violenze contro i palestinesi. L’Ue, contro il parere di Italia e Germania, decide di riesaminare l’accordo di associazione con Israele, contestando violazioni sul rispetto dei diritti umani. Ishaan Tharoor scrive, sul Washington Post, che Israele, uccidendo e affamando i palestinesi a Gaza, sta diventando “un paria globale”; e non è il solo a pensarla così.

Mercoledì, l’esercito israeliano aveva esploso colpi d’arma da fuoco in aria, apparentemente come avvertimento, mentre una delegazione di diplomatici era in visita a Jenin, in CisGiordania, seguendo un percorso preventivamente concordato con le autorità israeliane. L’azione, senza vittime, aveva suscitato un coro di proteste da parte dei Paesi i cui diplomatici erano stati coinvolti, fra cui l’Italia.

A complicare il quadro, il drammatico episodio avvenuto a Washington nella notte tra mercoledì e giovedì: il duplice omicidio di due funzionari dell’Ambasciata di Israele a Washington, una donna e un uomo, uccisi fuori dal Capital Jewish Museum dove l’American Jewish Committee organizzava un evento. Il sospetto omicida è stato arrestato: è un cittadino statunitense di 30 anni di Chicago, Elias Rodriguez, che ha ripetutamente gridato ‘Free Palestine’, ‘Palestina libera’, al momento d’essere condotto via.

L’uomo, di origini ispaniche, è stato visto camminare nei pressi del Museo e poi estrarre un’arma e fare fuoco, da distanza ravvicinata, contro le sue vittime, una coppia prossima al fidanzamento, che avrebbe dovuto avvenire a Gerusalemme la prossima settimana.

Dopo avere sparato, Rodriguez non è fuggito, ma ha atteso l’arrivo della polizia e si è consegnato agli agenti, dicendo: “L’ho fatto io, l’ho fatto per Gaza. Liberate la Palestina!”: lo ha riferito alla Cnn una testimone oculare, Sara Marinuzzi. Secondo la donna, l’uomo ha inizialmente finto di essere “un testimone” dell’attacco: Rodriguez ha chiesto alla sicurezza del Museo di chiamare la polizia e “le guardie gli hanno offerto dell’acqua, cercando di confortarlo”. L’uomo “si comportava in modo piuttosto irregolare, hanno pensato che avesse assistito alla sparatoria”.

A dare la notizia è stata la segretaria alla Sicurezza interna Kristi Noem. Il Capital Jewish Museum è a breve distanza dall’ufficio dell’Fbi nella capitale federale. In un post su X, Noem ha scritto: “Preghiamo per le famiglie delle vittime. Consegneremo alla giustizia il depravato responsabile”. La segretaria alla Giustizia Pam Bondi e la procuratrice generale federale ‘ad interim’ del Distretto di Columbia Jeanine Pirro si sono recate sul luogo del delitto.

Poco dopo anche il presidente Usa Donald Trump ha postato su X una sua reazione: “Questi orribili omicidi, basati ovviamente sull’antisemitismo, devono finire, ORA!”: “Odio e radicalismo non hanno posto negli Stati Uniti. Condoglianze alle famiglie delle vittime. È triste che cose del genere possano ancora succedere. Che Dio vi benedica tutti!”.

In Israele, il presidente Isaac Herzog scrive su X: “sono sconvolto dalle scene di Washington DC. Questo è un atto spregevole di odio, di antisemitismo…”. “I nostri cuori – prosegue Herzog – sono con i familiari delle vittime … Invio pieno sostegno all’ambasciatore e a tutto il personale dell’Ambasciata. Siamo al fianco della comunità ebraica a Washington DC e in tutti gli Stati Uniti … America e Israele saranno uniti in difesa del nostro popolo e dei nostri valori comuni. Il terrore e l’odio non ci spezzeranno”.

Per il premier israeliano Benyamin Netanyahu, l’attentato è frutto della “selvaggia istigazione” contro Israele. Netanyahu ha annunciato inoltre di aver ordinato un rafforzamento della sicurezza nelle missioni diplomatiche del Paese in tutto il Mondo.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.