Alessandro Maggioni (Presidente FCP-Associnema), questa settimana è il protagonista del progetto “Comunicazione e futuro: il valore di un common ground” lanciato da Marianna Ghirlanda, presidente IAA Italy Chapter, che nell’articolo, che si può leggere qui, spiega perché è utile condividere visioni di protagonisti del mondo della pubblicità. Le altre testimonianze: Lorenzo Sassoli de Bianchi (presidente Auditel)Giovanna Maggioni (presidente Audioutdoor)Massimo Martellini (presidente Audimovie);Antonio Martusciello (presidente Audiradio); Roberto Liscia (Presidente diNetcomm);Marco Travaglia (Presidente UPA);Chiara Alvisi (Presidente IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria).

Cooperare permette di crescere?

“Credo molto nella cooperazione e nella condivisione, e molto poco nella “gelosia” del proprio sapere. Sono convinto che lavorare, così come vivere la propria vita privata, custodendo gelosamente il proprio sapere (inteso non solo come sapere dal punto di vista della conoscenza, ma anche del fare pratico o, per prendere un riferimento più professionale, del proprio network di professionisti) sia uno dei modi peggiori per sviluppare business e per crescere dal punto di vista personale. Forse sono troppo legato ad un famoso detto che mia nonna era solita ripetermi, ma che tutti conosciamo, ovvero “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te” – e che traduco anche con un più personale “fai e dai agli altri quello che vorresti fosse fatto o dato a te”. Per questo cerco sempre di mettere a fattore comune le mie conoscenze ed esperienze, in qualsiasi ambito. Alle persone che lavorano con me raccomando di confrontarsi continuamente, di condividere le informazioni che derivano da incontri con altri operatori, siano essi competitor o clienti. Le aziende nelle quali e con le quali sono riuscito a costruire e ottenere i migliori risultati, sono state certamente quelle nelle quali e con le quali era possibile condividere idee, progetti, informazioni e obiettivi. Impostare la propria attività solamente sulle proprie forze e capacità, nel medio lungo periodo, è sicuramente poco edificante”.

Come immagina il futuro dell’azienda (o del comparto) che rappresenta fra un biennio (o triennio)?

“Sono convinto che ci aspetti un periodo di grandi evoluzioni e rivoluzioni. Il mercato cinema, nel quale DCA opera dal 2017, ha evidentemente subito un forte periodo di stop e conseguente fase di rilancio tra il 2020 ed il 2023. Già lo scorso anno le cose sono cambiate in modo sensibilmente positivo: i film in sala sono aumentati in quantità e qualità, il numero degli spettatori non è più così distante da quello degli anni precedenti la pandemia, sono stati effettuati importanti investimenti da parte degli esercenti cinematografici per ammodernare e rendere più accoglienti e performanti le sale e, elemento davvero significativo per il mercato dell’advertising, il target di frequentazione delle sale si è sensibilmente modificato: sono, infatti, sempre più presenti le classi d’età più giovani (under 34 anni), che prima della pandemia risultavano essere il tallone d’Achille del comparto nel mercato italiano. In DCA abbiamo dato il via ad un processo di ammodernamento dei servizi advertising già nel 2021, installando un sistema di panificazione digitale che permette un livello di flessibilità davvero senza eguali: i clienti possono scegliere i film, le sale, gli orari e i giorni in cui comunicare. Possono addirittura lavorare sulla frequenza di messa in onda degli spot e definire standard di erogazione di creatività diverse, ma in contemporanea su più sale, a seconda delle esigenze territoriali. E per il futuro la parola chiave sarà ancora e senza dubbio “tecnologia”: stiamo lavorando allo studio di processi di rilevazione e definizione dei target di frequentazione delle sale. Vogliamo essere quanto prima protagonisti della “Rivoluzione CUSV” che, assegnando ad ogni singolo spot un proprio codice unico e inequivocabile si rivela uno strumento in cui crediamo molto, che reputiamo un enorme indicatore di trasparenza e misurabilità per ciascun mezzo, ed in particolare per il cinema. Una volta raggiunto tale obiettivo, abbiamo in programma di dedicarci allo sviluppo di modalità di pianificazione in “programmatic” e di sviluppare prodotti di intrattenimento da proporre come mezzo di comunicazione ai nostri clienti. In una frase, la DCA del futuro sarà sempre più tecnologica, attenta ai bisogni del proprio parco clienti e aperta alle nuove sfide del mercato”.

Perché non siamo più in grado di attrarre i giovani talenti?

“Alla luce del lungo lavoro svolto nel mercato dell’advertising e delle recenti esperienze di confronto con i “giovani talenti” maturate in occasione delle varie presentazioni del libro “Un Mestiere Meraviglioso – vendere pubblicità” che ho scritto a quattro mani con l’amico e collega Alessandro Tavallini, credo che ci siano più risposte a questa domanda. Una, però, le riassume tutte: i giovani non vogliono fare il nostro lavoro perché non ne conoscono l’esistenza. Non esistono, infatti corsi universitari che insegnino a vendere o comprare advertising. Esistono dei master, ma a mio modo di vedere (e limitatamente a quelli che conosco) durano tropo poco e danno poche possibilità (almeno dal punto di vista delle concessionarie adv) di sperimentare sul campo l’esperienza del progettare un piano media, del lavorare alle strategie di lancio e comunicazione di prodotti e/o servizi. Non danno modo, se non in misura molto limitata e totalmente dipendente dalle società che “ospitano” qualche stagista a fine corso, di sperimentare l’emozione del confronto con il cliente. Al massimo qualcuno di loro si confronta con le concessionarie per domande molto semplici e spesso molto pratiche. Infine, i giovani, quei pochi che cominciano ad interessarsi al nostro lavoro, non hanno modo di sperimentare molte delle emozioni che lo rendono avvincente e unico: quanti di loro si trovano partecipi di una trattativa di acquisto o vendita? Quanti vengono coinvolti nella miriade di eventi – a volte anche glamour ed esclusivi – riservati agli operatori del settore? A quanti è prospettato un potenziale percorso formativo di crescita professionale? Esistono “infiniti corsi di vendita”, ma nessun corso coniuga il mercato dell’advertising con quello delle vendite.

Non credo debbano essere le università a proporre corsi di formazione per giovani che vogliano svolgere il nostro lavoro. Almeno non da sole. Il mio desidero è di riuscire a convincere diverse concessionarie di pubblicità a lavorare a fianco delle università, per studiare percorsi formativi che mixino lezioni e percorsi in azienda. Se l’università propone un corso di formazione, i giovani se ne interessano. Se questo è ben organizzato e ben collegato al mondo del lavoro, chi lo frequenta sicuramente troverà alla svelta un posto di lavoro e diventerà il miglior testimonial per il corso stesso, dando così vita di un circolo virtuoso che porterà molti più giovani nel nostro settore”.

Quali sono le sfide che abbiamo davanti?

“Una delle sfide principali è proprio quella di attirare sempre più giovani nel nostro mondo. Un settore dove opera un’alta percentuale di giovani professionisti potrà crescere in futuro, saprà sperimentare, plasmarsi e modificare le abitudini di chi ne è parte attiva e motivata, così come quelle di chi ne è “vittima inconsapevole” (il consumatore finale). Il nostro settore è quindi il contesto ideale per i giovani talenti perché è in continuo cambiamento, ricco di stimoli e nuove sfide che provengono dai nostri clienti, sempre alla ricerca delle soluzioni di comunicazione più efficaci, distintive e misurabili. Il nostro mercato “non è mai stato così giovane” in fatto di nuove idee, nuove tecnologie, piattaforme digitali, IA, connessioni e interazioni con altri mercati in giro per il mondo. Tutti requisiti sui cui i nuovi talenti possono esprimersi al meglio rendendo la professione dell’Advertising Sales Specialist (quello che ai miei tempi si chiamava “venditore di pubblicità”) sempre più attrattiva e ricca di prospettive.

Altre sfide che ci attendono per il futuro: rimettere al centro il consumatore e spostare il paradigma della misurazione dei risultati su un periodo di valutazione più lungo e duraturo”.

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Maria Pia Rossignaud
Giornalista curiosa, la divulgazione scientifica è nel suo DNA. Le tecnologie applicate al mondo dei media, e non solo, sono la sua passione. L'innovazione sociale, di pensiero, di metodo e di business il suo campo di ricerca. II presidente Sergio Mattarella la ha insignita dell'onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. Vice Presidente dell’Osservatorio TuttiMedia, associazione culturale creata nel 1996, unica in Europa perché aziende anche in concorrenza siedono allo stesso tavolo per costruire il futuro con equilibrio e senza prevaricazioni. Direttrice della prima rivista di cultura digitale Media Duemila (fondata nel 1983 da Giovanni Giovannini storico presidente FIEG) anticipa i cambiamenti per aiutare ad evitare i fallimenti, sempre in agguato laddove regna l'ignoranza. Insignita dal presidente Mattarella dell'onorificenza di "Cavaliere al Merito della repubblica Italiana. Fa parte del gruppo di esperti CNU Agcom. E' fra i 25 esperti di digitale scelti dalla Rappresentanza Italiana della Commissione Europea. La sua ultima pubblicazione: Oltre Orwell il gemello digitale anima la discussione culturale sul doppio digitale che dalla macchina passa all'uomo. Già responsabile corsi di formazione del Digital Lab @fieg, partecipa al GTWN (Global Telecom Women's Network) con articoli sulla rivista Mobile Century e sui libri dell'associazione. Per Ars Electronica (uno dei premi più prestigiosi nel campo dell'arte digitale) ha scritto nel catalogo "POSTCITY". Già docente universitaria alla Sapienza e alla LUISS.